Se i giovani si organizzano, si impadroniscono di ogni ramo del sapere e lottano con i lavoratori e gli oppressi, non c’è scampo per un vecchio ordine fondato sul privilegio e sull’ingiustizia.
— Enrico Berlinguer.
Mi prese da parte e mi disse: “Lo so, probabilmente hai ragione. Ma non puoi pensare di averla vinta su tutto e subito, ci vuole tempo. E sopratutto non puoi credere di sapere cos’abbia in testa lui prima ancora di provare a parlarci. La politica è fatta da persone in carne ed ossa, e le persone hanno storie, idee, esperienze diverse. Tu non hai idea della sua storia, di cos’abbia passato, per questo devi prima di tutto avere rispetto”.
Queste parole risalgono ormai a diversi anni fa. Fu un’amica a pronunciarle, dopo una riunione particolarmente tesa del nostro Circolo dei Giovani Democratici. In quella sera di novembre per la prima volta mi venne data con chiarezza una delle lezioni più importanti che io abbia imparato fino ad oggi: la politica non è un elenco di cose da fare, ma innanzitutto è la fatica di tessere legami, conoscere storie, entrare in relazione e lavorare ad un orizzonte collettivo. E tutto questo richiede tempo, pazienza, rispetto e curiosità.
Da quel giorno la mia vita è lentamente cambiata: ho capito che non bastava il racconto superficiale di chi predicava “la politica del fare”. Ho iniziato ad approfondire, a leggere, studiare, ascoltare e a fare domande.
Nel tempo mi sono reso conto di una cosa: la politica oggi è spesso la pratica sterile di mettere in fila una dopo l’altra le “cose da fare” senza una lettura d’insieme, senza fare la fatica di costruire un progetto collettivo. Non vuole unire, sognare né mediare, e che si pone come obiettivo esplicito di non perdere tempo in discussioni sui valori, sui processi, non vuole andare a fondo delle questioni e rivendica con orgoglio il suo essere “post-ideologica”.
Tutto questo dipende da una tendenza più ampia della nostra società. Oggi tutto tende a dividere, a slegare, a separare le persone le une dalle altre. L’indivualismo è la cifra dell’economia, della politica e di ogni aspetto vita delle nostre comunità.
Ci ero caduto anch’io, pensando di poter mettere in secondo piano il confronto all’interno del mio gruppo, pensando che bastasse arrivare lì e battere i pugni sul tavolo per avere ragione e mettersi a “fare”, indipendentemente da tutto e da tutti.
Non è così che può funzionare la vita, e non è così che funziona la politica.
Eppure oggi è esattamente così che si ragiona. Ognuno per sé, con il proprio punto di vista, nella propria bolla, e non si fa nulla per mettere in comune, per tenere insieme, per costruire collettivamente un’alternativa all’esistente. Infatti la politica è sempre più distante dalla vita delle persone, i problemi che ci troviamo ad affrontare sono sempre più gravi e le risposte sempre più inefficaci. Siamo la prima generazione che ha una prospettiva di vita più infelice della generazione dei suoi padri. I disordini ambientali, politici, economici e sociali che dobbiamo fronteggiare sembrano insuperabili.
Tuttavia, non possiamo permettere che semplicemente tutto accada indipendentemente dalla nostra volontà. Dobbiamo rimboccarci le maniche e provare a cambiare le cose.
In questi anni ho imparato tante cose, e tantissime ancora ne devo imparare. Ma una cosa l’ho capita: l’unico modo per dare una speranza di riscatto alla nostra generazione è lavorare perché collettivamente decidiamo di impegnarci, o meglio, renderci conto di essere impegnati, imbarcati dell’avventura dell’esistenza, chiamati a lasciare un segno per chi verrà dopo di noi.
Quello che vorrei fare qui è dare un piccolo contributo aperto a chiunque. Qualche parola scritta nel corso del tempo, qualche riflessione che aiuti per quel poco che vale ad unire le forze, perché la nostra generazione riesca a combattere per un sogno collettivo, ad organizzarsi e impadronirsi dei “rami del sapere”, per combattere il “vecchio ordine fondato sul privilegio e sull’ingiustizia”.
Cominciamo.