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Trump abbandona i curdi: Erdogan prepara l’invasione

In Italia – nel mondo globalizzato – la politica estera sembra paradossalmente scomparsa dai radar, e non da oggi. La nomina di Luigi Di Maio a ministro degli Esteri è solo il punto di più basso di un inesorabile decadimento, di cui non si vede la fine. 
Così questa mattina è apparso il titolo: “le truppe americane in Siria si ritireranno dal confine turco”: in molti non avranno fatto una piega. In fondo è una delle ultime notizie del telegiornale, nulla di cui preoccuparsi. 
Eppure, si tratta di un fatto gravissimo. Un altro capitolo nella lunga oppressione del popolo curdo, una mossa che destabilizzerà un’intera regione dove ancora oggi è presente – pur indebolito di molto – l’ISIS. Proviamo a capire perché con questa breve carrellata.

Le origini della questione curda

La Storia del popolo curdo è una storia di ingiustizia, persecuzioni e repressioni iniziata secoli fa. I curdi condividono origini, Storia e cultura, ma non hanno mai potuto costituire uno Stato autonomo. La loro terra – il Kurdistan – è una regione montuosa attualmente divisa fra Turchia, Iran, Iraq, Siria, Armenia e Azerbaigian.
L’origine delle vicissitudini del popolo curdo è da far risalire al XVI secolo, quando il Kurdistan fu per la gran parte inglobato nell’Impero ottomano. Nell’800 iniziarono le insurrezioni indipendentiste e di conseguenza le prime repressioni, che continuarono negli anni successivi ad opera prima dell’Impero Ottomano, poi – una volta che le potenze vincitrici della prima guerra mondiale se lo spartirono – dalla Turchia, dall’Iran, dall’ Iraq e dalla Siria.

Per approfondire, guarda questo video:

La regione del Rojava e la violenza di Erdogan

Veniamo a noi.
L’Unità di Protezione del popolo (YPG) è ala militare del Partito dell’Unione Democratica curdo (PYD), che fa parte dell’alleanza delle Forze democratiche siriane (SDF). Le SDF sono un’alleanza di milizie curde, arabe, turcomanne e assiro-siriache nata con l’obiettivo di sconfiggere l’ISIS, che negli anni ha liberato diverse città, tra cui la più famosa è Kobane.
Ma non c’è solo la lotta all’ISIS: a partire dal 2012 si è costituita una regione autonoma a maggioranza curda nel territorio a nord-est della Siria, il Rojava. Essa ha preso il nome di Federazione Democratica della Siria del Nord: le SDF ne sono diventate la forza di difesa ufficiale. Si tratta di un esperimento importantissimo, ispirato da principi democratici, femministi, egologisti, socialisti e che attua un “confederalismo democratico”. I curdi si sono uniti ad altre etnie in un progetto rivoluzionario, rispetto al panorama istituzionale del Medio Oriente.
Per Erdogan l’YPG è un’organizzazione terroristica e in quanto tale va combattuta. Così, nei primi mesi del 2018 è partita l’invasione di Afrin da parte della Turchia e dell’esercito libero siriano, in un’operazione chiamata “ramoscello d’Ulivo” che a dispetto del nome ha portato alla morte di centinaia di civili e all’esodo di 150mila cittadini. L’obiettivo – se non fosse chiaro – non è combattere il terrorismo, ma impedire che la regione si stabilizzi e che vi si costituisca effettivamente uno Stato autonomo, indipendente e democratico.

Anche qui, un video per approfondire:

L’annuncio di Trump e le sue conseguenze

Il presidente americano ha deciso di avallare la scelta di Erdogan di invadere nuovamente il Rojava, ritirando le truppe americane alleate dei curdi. Senza l’opposizione di Trump, ora Erdogan potrà dilagare nella regione.
Il sultano ha dichiarato di voler ricollocare dalla Turchia un milione di profughi siriani in queste “zone sicure” costituite al nord della Siria, cioè dove oggi vivono i curdi. L’obiettivo è la cancellazione dei curdi da questa regione, e il risultato sarà scatenare un conflitto violentissimo lungo tutta la linea del confine turco-siriano, dando peraltro nuovi spazi all’ISIS.
Il silenzio assordante della comunità internazionale e dell’Unione Europa su questa vicenda è inaccettabile, ma difficilmente qualcuno avrà il coraggio di romperlo. D’altronde, mica vogliamo che la Turchia – che fa parte della NATO – si senta in diritto di aprire il tappo e far piombare in Europa milioni di profughi. Questione di priorità. Difficile che dall’Italia si levino voci in dissenso rispetto a questa follia, o voci in generale. D’altronde – concludiamo da dove abbiamo cominciato – a chi interessa la politica estera?

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